TRA LE RIGHE - Cascio e Mura guardati da Calderara, Dadamaino e Nigro

TRA LE RIGHE - Cascio e Mura guardati da Calderara, Dadamaino e Nigro

La galleria Grossetti Arte ha il piacere di presentare Tra le righe, bi-personale degli artisti Walter Cascio e Carla Mura, che si terrà nella sede della galleria, in piazza XXV Aprile, dal 15 marzo al 15 aprile.

I due artisti presentano un ciclo di lavori, appartenenti all’ultimo periodo della loro produzione, il cui “fil rouge” è costituito da una rigorosa scansione dell’opera in segni, in righe lineari, in elementi geometrico-visivi e percettivi che segnano e “marcano”, con la loro presenza, lo spazio pittorico e la superficie del lavoro, quasi a ricercare, pur nelle diverse forme espressive e nei differenti materiali utilizzati, una sorta di strano e misterioso alfabeto primigenio, o il pentagramma di una musica segreta.

Il “ritorno al segno” (e ai segni) di Walter Cascio e Carla Mura si configura così come una ricerca delle origini stesse del fare artistico, attraverso la sua prima, e più significativa, espressione: il segno (o di-segno), appunto, rispetto al quale l’azione basilare del “tirare le righe” (azione che si impara a scuola, tra infanzia e prima adolescenza) appare come una sorta di atto fondativo, e proprio per questo più che mai simbolico e significativo, della ricerca di un universo interiore e di un proprio ordine formale da parte degli artisti.

Segno pittorico, raffinato e delicatissimo, al limite della rarefazione, e tuttavia estremamente suggestivo e coerente, nella sua ricerca di una completa autonomia formale e concettuale dalla raffigurazione del reale, quello di Walter Cascio; e segno intimo, rituale, realmente costitutivo, nel suo rigore formale, della creazione di una propria architettura segnica – dunque, per metafora, dell’intera edificazione del mondo –, quello di Carla Mura, costruito com’è sulla scansione e l’intreccio di fili di cotone di diverso colore, luminosità e spessore.

Walter Cascio (Bologna 1958) è autore di un universo segnico complesso, basato sulla scansione ritmica di elementi estremamente lineari, che basano sui rapporti armonici e disarmonici tra forma, linea, spazio e colore la loro delicatissima disciplina interna. L’artista lavora infatti da anni sull’idea della creazione di uno spazio pittorico fortemente caratterizzato, originale e autonomo, dalla struttura apparentemente lineare e ripetitiva, che si dipana attraverso un curioso e delicatissimo gioco di richiami, di riferimenti, di rimandi incrociati alle strutture e alle geometrie che scorrono al di sotto dello spazio del reale, alla ricerca di un dis/equilibrio interno, segreto, rintracciabile nel ritmo sempre differente della ripetizione di elementi solo apparentemente simili uno all’altro.

Le partiture dell’artista sono infatti composte unicamente da pieni e da vuoti, da ombre, da trasparenze, da giochi di luce e di colore, da segni orizzontali che sembrano allinearsi, incrociarsi, rincorrersi l’un l’altro: quasi l’artista non volesse rassegnarsi alla fissità di una singola forma, ma cercasse instancabilmente di sperimentarne tutte le combinazioni possibili e immaginabili, che portano a creare sempre nuove soluzioni visive e nuovi simboli alfabetico-formali. L’intreccio di segni e di linee che si dipanano dalle opere di Water Cascio sembra misteriosamente rimandare all’origine stessa del disegno tecnico-architettonico, al suo voler ricreare il mondo seguendone solo la struttura sotterranea, interna, senza pretendere di rappresentare l’apparenza del mondo, né di fissare ciò che non è possibile fissare.

Utilizzando unicamente pigmenti speciali, estremamente trasparenti e delicati, Cascio dà vita a misteriose partiture segniche sulla superficie delle tele, o delle carte, o su altri supporti, che paiono rimandare a una sorta di sconosciuto o semidimenticato alfabeto visivo, o al linguaggio, insieme rigorosissimo e poetico, del pentagramma musicale; o, ancora, a quello di una semiotica arcaica, ma che pare stranamente ricollegarsi formalmente al linguaggio elettronico contemporaneo, quasi ci trovassimo di fronte a una serie di reperti, o fossili linguistici, inspiegabilmente anticipatori dei linguaggi di programmazione propri della società tecnologica avanzata (codice a barre, QR Code, etc.).

La répétition differente di Walter Cascio, per citare uno dei grandi filosofi della seconda metà del Novecento, Gilles Deleuze, è dunque fondativa di un alfabeto simbolico che si ripete solo apparentemente sempre uguale a se stesso, in realtà nutrendosi, e nutrendo il mondo esterno, della propria intrinseca disarmonicità, della propria irriducibilità a una visione unicamente razionale del reale, articolato com’è nelle infinite variazioni della propria struttura sintattica di base, quasi volesse insieme ricordarci l’unità del nostro mondo simbolico e la sua intrinseca variabilità e volubilità. “Viene da chiedersi”, scriveva Deleuze, “se il paradosso della ripetizione non stia nel non poter parlare di ripetizione se non attraverso la differenza o il mutamento che essa introduce nello spirito che la contempla, forse attraverso una differenza che lo spirito sottrae alla ripetizione”.

È la nostra visione interna, mentale, dunque, prima ancora che la scelta stessa dell’artista, a creare e a dare un senso alla differenza nell’atto stesso del vedere, riconoscendovi i germi della nostra stessa variabilità e irriducibilità a un’unica struttura razionale, immutabile e coerente, all’interno del mondo fenomenico.

Carla Mura (Cagliari 1973) lavora da sempre con materiali insoliti, particolari, dalle sabbie ai pigmenti naturali. È con la scoperta del filo di cotone e con la scelta di utilizzarlo in via esclusiva per realizzare le sue “architetture sensibili”, che il lavoro dell’artista è entrato, già da molti anni, in una fase di maturazione. Lasciate alle spalle le sirene della rappresentazione del reale, la ricerca di Carla Mura si è via via spinta su un territorio instabile e privo di coordinate fisse, quello della riconquista di un alfabeto visivo lineare, complesso ed estremamente rigoroso: un linguaggio fatto di strutture lineari, di linee piatte e di piani incrociati, ma anche di colori cangianti, di prospettive illusorie, di una sensibilità del materiale e del colore che sembra sempre mettere in forse la staticità e la solidità della composizione.

Il filo di cotone, materiale fin troppo facilmente riconducibile a un universo eminentemente femminile, diviene così inaspettatamente, per l’artista, una sorta di filo d’Arianna per compiere un viaggio a ritroso nel proprio inconscio e nell’inconscio del visibile, per riappropriarsi di uno sguardo originale sul mondo. Carla Mura riparte dall’articolazione grammaticale e dalla sintattica del proprio linguaggio e del proprio materiale d’adozione (il filo di cotone) per riscoprire gli elementi fondanti del paesaggio in cui viviamo, le sue strutture profonde, segrete, le sue concatenazioni, i giochi e le tensioni interne che lo tengono in vita. Le strutture del reale vengono così ricondotte a pure linee di fuga, assi prospettici, linee, angoli, masse, volumi, orizzonti.

In questo senso, l’opera di Carla Mura diviene fondamentalmente un’operazione di sottrazione, di sintesi, nella sua inesausta ricerca dei piani fondanti e primari del reale. Ma la forza del suo lavoro risiede anche nella freschezza e gioiosità del colore, nella tattilità dei materiali, nella

Rigore formale, sintesi, equilibrio, ricerca di nuove forme di spazialità, capacità di far vibrare la luce e il colore, sensibilità e tattilità del materiale: su questi elementi si gioca l’originalità e la forza seduttiva del lavoro di Carla Mura.

A fare da ideali “garanti” di questa visione bipartita tra segni e linee, ecco tre quadri storici, tutti provenienti dalla collezione Grossetti, che sembrano singolarmente anticipare temi e suggestioni ben presenti nel lavoro dei due artisti contemporanei.

Il primo, valido per il lavoro di entrambi gli artisti, è un quadro di Dadamaino del 1975, “Inconscio razionale”, basato su una vibrante concatenazione di segni e di linee astratte, vergati da una mano che “corre e traccia senza premeditazione“, che ben sintetizza la ricerca di una struttura che sia insieme razionale e irrazionale, rigorosa ed empatica, ferra e sempre variabile e differente.

Il secondo è un acquerello di Antonio Calderara del 1973, intitolato 49 variazioni cromatiche, che sembra anticipare con singolare assonanza segnica e formale le sperimentazioni di Walter Cascio su forma, spazio e luce.

Il terzo, infine, Studio per spazio totale, è un piccolo lavoro di Mario Nigro del 1956, che, nella freschezza e nella linearità dei suoi incroci cromatici, ricorda, con straordinaria somiglianza, gli attuali intrecci di fili di cotone di Carla Mura.